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sabato 1 maggio 2010

Vita in spiccioli...

Il periodo tra l'entrata all'ospizio e la frequenza dei primi due anni delle elementari, non aveva lasciato tracce significative nei suoi ricordi.
Qualche episodio, qua e là, affiorava ogni tanto, ma erano fatterelli che non lasciavano tracce, di quelle che si dicono indelebili; erano flash come quelli al magnesio, un attimo di luce accecante poi più niente.
Nella prima parte della sua entrata all'ospizio, ricorrente era un episodio, che racconta nella certezza che nessuno ne verrà a conoscenza.
Aveva già accennato al fatto di essere un po' mingherlino. Non tanto come fisico in sé, forse, quanto per l'altezza. Che, a pensarci bene, avrebbe dovuto corrispondere a quella che ci si aspetta da un bambino di quattro anni.
Bene, non corrispondeva a quelle attese.
La dimostrazione di questa certezza gli veniva da un ricordo, di cui ancora oggi un pochino si vergogna.
Dunque: questo ricordo parte da un bagno. Dicendo bagno intende toilette, più semplicemente dal cesso.
Non era un bagno, non era una toilette, e anche come cesso faceva schifo. Consisteva in una base di cemento, o qualcosa di simile, che chiudeva a triangolo l'angolo di una stanzetta; un buco rotondo al centro del triangolo forniva la parvenza per il suo utilizzo. Dove quanto deposto andasse a finire non era mai stato interrogativo in attesa di risposta.
Oltre ad essere un cesso più che spartano, aveva un piccolo grande problema: era troppo alto per il pollicino che avrebbe, come tutti gli umani presenti nell'ospizio, dovuto usarlo.
Evidentemente tra gli ospiti non era prevista la presenza di un bambino, per di più così minuscolo.
Fatto sta che se i tempi lo consentivano, per fare i suoi bisogni si arrampicava sul mausoleo e bene o male riusciva a soddisfare le sue necessità.
Però talvolta il bisogno era talmente impellente, che i casi erano due: o farsela addosso o farla comunque.
Tra le due ipotesi aveva deciso che la meno dolorosa era quella di farla, comunque. Il comunque consisteva nel calare i calzoni e fare quanto dovuto per terra, ai piedi del triangolo-cesso.
E uscire dalla stanzetta come se quanto fatto rientrasse in un modo normale di operare. Per le suore, un rompicapo in più: sapere chi...
Aveva detto, sommariamente, chi erano gli ospiti dell'ospizio. Si trattava, delle tre categorie presenti, di capire chi lasciava quei regalini, che poi le suore avrebbero ripulito.
Le suore no, i vecchietti neanche (il cieco stesso ormai se la cavava benissimo da solo; Grazia forse andava in un altro bagno, oppure faceva in un vaso che poi veniva vuotato nel cesso comune).
Restava il bambino. L'unico.
Dal sospetto alla certezza il passo era stato breve. Era bastato tenere d'occhio lo scriciolo per un po' di volte, e alla fine era caduto nella trappola. All'uscita da una di quelle sedute veloci, lo avevano aspettato e bloccato. Per fargli capire che certe cose non si fanno, gli avevano fatto raccogliere con le mani la sua stessa merce, facendola gettare nel buco apposito.
Dallo schifo alla spiegazione del perché di questo modo di agire.
Poco dopo, ai piedi del blocco aveva trovato uno sgabellino, solo per lui, su cui salire e potersi sedere anche in situazioni di urgenza.
Della scuola, a parte qualche episodio minimo, che faceva parte comunque della vita scolastica, ricordava la maestra.
A distanza di decenni ne ricordava ancora il cognome.
Il nome proprio, no, a quei tempi non erano in uso né il tu né i nomi delle insegnanti.
La ricordava piccola, dolce e calma. Più avanti l'avrebbe associata nel ricordo alla maestrina con la penna rossa sul cappellino di un famoso libro di lettura per ragazzi. E forse, nella dolcezza del ricordo, c'era l'inconscio tentativo di ricordo della mamma; le suore, che ricordava con affetto, erano appunto suore quindi non potevano nel cuore di un bimbo sostituire la mamma.
L'unica che, almeno nella memoria, poteva farlo, era la maestra.
Delle altre memorie di quel periodo, resta un'estate al mare, in colonia. Ma anche di quell'esperienza aveva ricordi leggeri: la luce azzurrina che di notte illuminava la stanza dove lui e altri bambini dormivano; e una specie di crema al gusto di nocciola, che pare fosse americana.
Altro ancora: la festa patronale del paese, con bancarelle lungo la strada principale, con enormi pezzi di torrone che i venditori tranciavano a pezzettoni con coltellacci. Lui teneva d'occhio le operazioni di taglio, qualche scaglia restava sempre sul tavolaccio, e i più gliele lasciavano raccogliere per far provare anche a lui il gusto di quel dolce, che gli altri pagavano.
Magari contavano sull'acquisizione di un nuovo cliente, per un futuro lontano.
E poi il barbiere.
Allora i barbieri portavano un camice bianco, come i medici.
Forse aveva avuto a che fare con questi, e non ne era stato conquistato, fatto sta che il camice del barbiere era odiato come quello dei dottori; e la visita a questo artigiano era accompagnata da pianti e vani tentativi di fuga.



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