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domenica 25 aprile 2010

L'ospizio

Il buon giorno dalla vita lo aveva avuto con la morte della madre.
Si trattava adesso di avere la possibilità di entrare nella società. Vista la situazione non è che ci fosse molto da scegliere: la famiglia, che sarebbe stato il modo più logico per i primi passi, non c'era più; i parenti, stretti o lontani, si erano volatilizzati; restava l'orfanotrofio, ma il paese era molto piccolo e non aveva necessità di orfanotrofi, sarebbero mancati i "clienti".
C'era però un piccolo ospizio, che ospitava pochi anziani, perloppiù malandati e anch'essi abbandonati dalle famiglie e dal parentado.
Insomma, ospizio anche per un bambino di tre-quattro anni.
Non che fosse il meglio, ma nonostante questa situazione strappalacrime, il giovanotto aveva visto il lato buono, non diciamo positivo, della faccenda: la sua originalità. Non è molto comune che un bambino finisca in ospizio, senza avere dietro le spalle una vita di lavoro, magari di stenti. Era una magra consolazione, ma corrispondeva perfettamente al pirandelliano "così è se vi pare".
Partendo dall'alto, c'era la superiora (suor Agnese) di cui non ricordava la provenienza, che guidava il piccolo drappello che seguiva gli anziani e il nuovo entrato; c'era suor Ambrogia (così per i vecchi, per lui Ambrogina), la sua provenienza oltre che dal nome era confermata da un naso meneghino, piuttosto pronunciato; poi suor Francesca (per gli altri ospiti, per lui Franceschina), una suorina tutta nervi, minuscola, ma delle tre la più energica.
Degli ospiti il ricordo è vago: un cieco, di cui non ricorda il nome; una cieca, Grazia: doveva essere stata una bella donna, anche se il bambino non era ancora in grado di metrare la bellezza femminile, e la ricordava alta, magra di quella magrezza che quasi nobilita la figura, con i capelli bianchi con leggere sfumature turchine, ma proprio leggere, quasi trasparenti controluce.
Un altro anziano rimasto senza nome, affiora nel ricordo per una particolarità: quello che avanzava alla fine dei pasti se lo infilava nelle tasche della giacca. Dietro quel gesto, ridicolo a prima vista, forse c'era un passato di fame, di fame brutta, un passato che il poveretto cercava di tener lontano, mettendo le provviste al sicuro per i tempi di magra già vissuti.
Oltre all'ospizio, le sue frequentazioni erano l'asilo (un altro paio di suore, dello stesso ordine di quelle dell'ospizio) di cui stranamente non aveva ricordi particolari, a parte un cortile senza erba, con degli alberelli striminziti, le corse in questo cortile, i litigi con i pochi compagni e quasi niente altro; e la chiesa del paese per la messa la domenica.
Di questa chiesa, a parte la sua grandezza forse esagerata dal suo fisico ridotto che ingigantiva tutto ciò che lo circondava, il ricordo più costante riguardava l'acquasantiera, quella conca di marmo contenente l'acqua benedetta per segnarsi all'entrata e all'uscita dalle funzioni.
L'acqua, nel paese scarseggiava, la si andava a prendere a un abbeveratoio fuori paese, con taniche in metallo, quelle militari color verdone scuro, a dorso di mulo. Il suo consumo era razionato e comunque limitato alle necessità prioritarie. Il ricordo di queste priorità ha un'importanza relativa; quello che conta è il fatto che la sete di un bambino non rientrava tra queste.
Ecco perché il ricordo dell'acquasantiera: quel bambino assetato, che non sapeva ancora le modalità del segno della croce, appena possibile, alzandosi in punta di piedi, quasi aggrappandosi ai bordi, intingeva quanto più possibile le mani in quell'acqua (forse benedetta, sicuramente tutto fuorché pulita) e si leccava ogni goccia per dissetarsi.
Magari qualcuno dei "grandi" che vedevano queste manovre, avrà notato in lui una promettente religiosità, ma era solo tanta tanta sete.

sabato 24 aprile 2010

Nascere orfano

Aveva due anni. A quell'età il mondo è piccolo, tutto avviene in pochi spazi, e da qui inizia il volo verso la vita. Ma se a due anni tua madre se ne va, muore, quel volo si trasforma in una caduta a piombo, la vita in un baratro. Non aveva ricordo alcuno di quei due anni. Molto tempo dopo, da racconti e da voci, seppe all'incirca come erano andate le cose. Non molto, ma quel tanto da non fargli rimpiangere la mancanza di ricordi diretti di quel periodo. 
Aveva saputo di essere stato trovato nella stanza, con sua madre, morta sul letto, già gonfia, e lui che strillava a più non posso, forse per fame. In una stanza piena di mosche e di pianto di bambino affamato. Della mamma gli è restato solo il nome e cognome da ragazza, e il luogo di nascita, distante un'infinità dal luogo della morte. Niente date di nascita e di morte, niente fotografie che potessero nel tempo tenerne vivo il ricordo; per un bacio di preghiera nelle tappe della vita, di ringraziamento in caso di risposta alle richieste di aiuto, quelle che si fanno alle mamme, fino alla tarda età, fino all'ultimo attimo di vita. 
Del padre, nessun ricordo. La prima verità l'avrebbe saputa pochi anni dopo, ma era talmente nebulosa che solo molto più avanti sarebbe riuscito a metterla a fuoco. Morta la madre, venne affidato a persone che non ha mai saputo se erano parenti o vicini pietosi. Di quel periodo, o forse precedente, ci fu un episodio, sempre raccolto con le poche notizie racimolate, di cui porta ancora oggi un segno visibile. 
Era nel letto, quando una notte, o per andare alla scoperta del mondo o per scaldarsi, scese e, gattonando?, andò fino a un bracere al centro della stanza, sedendosi sulla brace. Il timbro fisico gli è rimasto, sulla natica destra. Poi pare sia tornato nel letto, piangendo. 
(Qui ha dei dubbi che si trattasse proprio di un letto; più probabile che fosse una specie di coperta, poiché lo scendere o il salire su un vero letto, minuscolo com'era, sarebbe stata un'impresa non alla sua portata. Ma tant'è, dei ricordi propri ci si può, più o meno, fidare; dei racconti altrui, senza controprove, o ci credi o non ci credi: la cicatrice sulla natica lo spinge a credere, al di là della precisione, che passa in secondo piano). 
Del secondo periodo della sua vita aveva ricordi molto vaghi, forse rimossi dall'inconscio o perché ritenuti inutili o per eliminare memorie dolorose o comunque spiacevoli. 
I ricordi cominciano ad apparire più nitidi, pur se frammentari, dopo il suo ricovero all'ospizio. 
Di questa nuova fase, parlerà nel prossimo seguito.