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lunedì 30 dicembre 2024

Intermezzo

Fra pochi giorni saranno 14 anni dacché questo blog è andato in pausa. In questo lungo periodo sono successe cose che mai avrei potuto immaginare. Dire che ne ho viste e passate di tutti i colori sarebbe riduttivo, e non so quanto questo intermezzo riuscirà a raccontarlo.
Ci provo, anche se ogni passaggio mi porterà a una commozione che l'età contribuisce ad acuire.

Una ventina di giorni dopo la pubblicazione di quel post, verso fine gennaio del 2011, Angela, mia moglie da oltre quarant'anni, una mattina è stata vittima di una devastante emorragia cerebrale, che l'ha portata prossima alla fine. Un lungo intervento neurologico l'aveva riportata alla vita, ma il senno era andato perduto, irrimediabilmente.  Dimessa dall'ospedale, l'avevamo portata ancora in barella e affatto cosciente, presso una struttura riabilitativa, che nella propria attività non prevedeva il recupero di persone con 'guasti' neurologici. Nonostante ciò, in una sessantina di giorni (tempo massimo concesso come tempo di ricovero) l'avevano rimessa in piedi, anche se mentalmente ondivaga: dava l'impressione di capire, di assecondare, salvo poi dirigere le sue attenzioni ad altro.
Il ricordo di quel periodo, durato circa otto mesi, è qualcosa che ancora mi porta a chiedermi come abbia fatto a resistere alla tentazione di farla finita. 
Era un corpo iperattivo, non conosceva il riposo, non conosceva il sonno, che fosse giorno o notte le importava affatto, rispondeva con monosillabi farfugliati... Non saprò mai se e quanto comprendesse la sua situazione. Per sentito dire, sapevo che in questi casi chi soffre di meno è proprio il paziente, mentre la sofferenza maggiore è di chi, per dovere o per amore, deve accudirlo. Otto mesi senza un sonno che durasse almeno qualche ora distruggono qualunque fibra, ed io non ero più una quercia. Avevamo fatto sparire tutti gli oggetti a rischio d'uso inappropiato (posate in generale, ma anche cordami e oggetti in vetro), tenevamo chiusa la chiavetta esterna del gas, aprendola soltanto per l'uso contingente, poiché amava smanettare in cucina nel vago ricordo di quando ne faceva uso. Insomma avevamo preso tutte le precauzioni che chiunque ha passato questa ventura ben conosce.

L'avevamo messa in lista d'attesa per il ricovero in una RSA... e in questi anni ho avuto modo di leggere commenti in merito, tra chi ritiene sia giusto e doveroso tenere in casa, in famiglia, i pazienti di questo tipo, ritenendo che l'affetto possa essere sedativo sufficiente anche in vista di una pur improbabile guarigione, e chi (forse per averlo provato) ritiene che come ultima ratio la soluzione migliore sia il ricovero in strutture di assistenza sanitaria specifica.
L'ho dovuta ricoverare, se non lo avessi fatto non solo lei sarebbe stata a rischio perenne ma tutto il resto della famiglia... e se avessimo ceduto noi, anche per lei sarebbe stata la fine. Una volta ottenuto quel posto, non è passato giorno che non sia andato a trovarla. E nei nostri lunghi silenzi, nelle lunghe camminate nel prato che circonda la struttura, mi sono reso conto di amarla come mai prima di allora. Non riconosceva più (o succedeva in brevi sprazzi di lucidità) i pochi altri parenti o (ex) amici che rarissimamente erano venuti a trovarla; solo la sorella e la nipote erano state per lei inconfondibili. E me, fino all'ultimo: ogni pomeriggio sapeva verso che ora sarei arrivato e teneva gli occhi fissi all'entrata della struttura fino a quando mi vedeva spuntare, esultando felice. 
Nei più di quarant'anni vissuti insieme non ci eravamo mai separati, avevamo vissuto insieme periodi allegri e meno allegri, le decisioni erano prese in comune accordo... salvo una, che racconterò più avanti, se il tempo mi darà modo di farlo. Ma anche quella l'aveva accettata, pur se obtorto collo. Ebbene, di tutto quel lungo periodo, che ricordo per intero in ogni sua virgola, quello che ancora oggi più mi emoziona è proprio il brillìo dei suoi occhi quando la andavo a trovare, in quell'ultimo percorso di vita-non-vita che, nonostante la mia costante presenza, stava affrontando da sola.
Poco meno di cinque anni è durato questo 'idillio'... poi si è spenta, lentamente, come una candela che avesse esaurito la cera che la alimentava.

Ho detto in apertura che in questo periodo, da quel gennaio 2011 in poi, ne ho passate di cotte e di crude, e non era un modo di dire...

Verso la fine del 2014, con Angela ricoverata e ancora parzialmente cosciente, esami di routine avevano evidenziato in me la presenza di un tumore, in grave avanzamento. Gli esami più approfonditi avevano consigliato l'urgenza di un intervento di chirurgia, devastante quanto bastava ma atto a salvarmi la vita. 
Al rientro dai primi esami, che mi avevano visto assente per un paio di settimane dalle visite ad Angela, mi ero reso conto che la sua situazione fisica si stava aggravando. Prima che il tempo lenisse il sospetto, avevo il dubbio che proprio questa mia assenza improvvisa avesse contribuito a questo precipitare di una situazione che altrimenti appariva stabile.

Ricoverato un paio di mesi dopo, amputato radicalmente, al rientro a casa, quella situazione era apparsa veramente preoccupante. La mia convalescenza era stata lenta, e le poche volte che ancora avevo avuto la forza (più di volontà che fisica) di andarla a trovare si erano rivelate a dir poco penose. Non mi riconosceva più, e questo mi angustiava più del mio stato fisico non ancora completamente rimesso.
Un paio di mesi dopo l'intervento era sopraggiunta un'insufficienza renale di alto grado, che mi aveva messo al tappeto. L'infezione aveva provocato una febbre costantemente altissima, poco sotto i 40° gradi, che le Tachipirina a manciate non riuscivano a far calare.
E Angela per andarsene aveva scelto proprio quel periodo... 
Era il giorno successivo al suo compleanno, io ero a casa, immobilizzato dalla febbre, con un piede nella fossa, come si suol dire... e lei è morta senza avere me vicino. È un cruccio che ancora mi abbatte.
Si dice: chi è morto giace e chi è vivo si dà pace. Non sempre... Succede che chi resta vivo, dentro di sé un pochino muoia; e quel suo morire sia alimento per il suo stesso continuare a vivere.

Al primo controllo oncologico, con l'insufficienza renale in via di stabilizzazione, il medico aveva consigliato un ciclo di chemioterapia, adiuvante diceva lui. Ma, una volta viste le analisi ematologiche che segnalavano quell'insufficienza, aveva accantonato l'idea, conscio che quella cura, preventiva di un possibile ritorno tumorale, avrebbe sicuramente danneggiato reni già compromessi. Conoscevo il concetto che la chemioterapia non è un dardo che, una volta lanciato, colpisce direttamente il male; è come un lanciafiamme che nel suo percorso verso la parte tumorale distrugge quello che trova, soprattutto le parti deficitarie, nel mio caso i reni.
Quando si dice che non tutto il male viene per nuocere... Da allora sono passati dieci anni, le visite di controllo sono a cadenza annuale e il 'negativo' si è ripetuto fino adesso. Evidentemente i chirurghi che mi avevano operato ci avevano dato dentro con l'accetta anziché lavorare di fioretto, eliminando del tutto ogni minimo residuo tumorale, ogni linfonodo sospetto... In cambio ho dovuto aggiungere la verifica nefrologica, che segnala una discreta stabilizzazione; condizione soddisfacente, vista l'irreversibilità dell'insufficienza renale che può peggiorare, mai regredire.
In cambio, passata la bufera dell'intervento e del corollario renale acuto, non ho più avuto febbri, cefalee, dolori muscolari... non ho più assunto analgesici di alcun tipo, salvo, ma non più di un paio di volte, uno sciroppo per la tosse... ho fatto i vaccini anti-Covid e ho superato brillantemente anche quel periodo. 
Il medico di base sovente mi dà per disperso...

Una visita casuale da una oculista mi aveva reso edotto della presenza di cataratte, una per occhio. Da oltre sessant'anni portavo gli occhiali, a causa di un astigmatismo miopico che, a parte la scarsa visione da lontano, non mi aveva mai dato problemi, tant'è che in tutta la mia vita oculistica avrò cambiato solo una treina di volte le lenti. Con l'obbligo del loro indosso sulla patente...
Alla soglia degli ottanta ho fatto il primo intervento per la rimozione di quel velo, e un anno dopo anche il secondo. Ho potuto buttare le lenti alle ortiche, e dalla patente è sparito quell'obbligo lenti cui ormai ero abituato; l'ultimo rinnovo risale a ottobre scorso e adesso se ne riparlerà nel 2026. Inshallah, se Dio vuole...

Nonostante la febbre durante la vicenda della morte di Angela, ero rimasto abbastanza lucido per guardare intorno a me e valutare la situazione personale in capo alla parte di famiglia che mi restava: mia cognata e sua figlia, da sempre in casa con noi. 
Questa cognata aveva passato la gioventù assistendo i genitori anziani e invalidi, facendo lavoretti saltuari soprattutto di maglieria, con cui dava una mano all'economia di casa, che le due pensioncine dei genitori a malapena riuscivano a soddisfare. Anche quando avevamo raggruppato tutti in una casa unica, era rimasta accanto a loro fino alla fine. 
Con la vita che scorreva serena, senza problemi particolari, l'unico dilemma era il fatto che gli anni avanzavano anche per lei, e non aveva mai avuto modo di versare contributi in vista di una auspicabile età per la pensione. Aveva messo insieme una quindicina d'anni di lavoro part-time, non sufficienti a garantirle neanche un minimo di pensione. Certo, con me in vita non avrebbe mai avuto problemi ma, come accennato, il mio piede nella fossa era tutt'altro che eufemistico, e la ripresa appariva affatto scontata.
Avevo da tempo intestato a lei una parte degli acquisti fatti nel corso degli anni, un grande giardino e un box; avevo predisposto a suo tempo che lei risultasse erede universale di quanto ufficialmente apparteneva ad Angela, della casa e del conto corrente; avevo rinunciato alla mia parte di legittima assegnandola a lei al momento del rogito notarile.
Ma... nonostante la febbre, come detto, ero rimasto abbastanza lucido da capire che con i mattoni, con un tetto, si è sì al coperto, ma questi non danno da mangiare; e senza quel minimo di pensione, in caso di mia dipartita, non avrebbe fatto molta strada. E con lei sua figlia, ancora studente e ancora indecisa sul suo futuro, immediato e di là a venire.
Avevo avanzato un'ipotesi che, per azzardata che fosse, appariva l'unica spes per affrontare una situazione altrimenti impossibile da risolvere: sposarla.
Amava sua sorella, e già l'idea di farle un torto così grave l'aveva portata verso pianti isterici, condivisibili ma poco realistici. Avevo spiegato alla figlia, da poco diciottenne, il problema: sposare sua madre era l'unico modo per assicurare a entrambe un futuro meno nebuloso di quanto sarebbe stato accettando uno status quo sentimentalmente apprezzabile ma pragmaticamente senza sbocchi. Con la reversibilità al coniuge superstite avremmo risolto il problema.
La figlia aveva capito, l'aveva convinta e dopo una quattrina di mesi ci siamo sposati. In Municipio, senza fedi, senza fiori, senza sorrisi, in un fresco pomeriggio ottobrino, col pianto malamente trattenuto, officiante un'impiegata con delega, testimoni due donne sconosciute che si erano offerte al momento. Eravamo cognati da oltre 40 anni, continuiamo ad essere cognati, pochi intimi sanno che siamo due cognati pure sposati.

Il piede nella fossa è rientrato, la vita continua, le visite al cimitero ci ricordano che abbiamo una casa comune che ci aspetta. A suo tempo avevo acquistato un loculo posizionato proprio sopra quello che ospita Angela; pensavo sarebbe stato per me, ma poi ho cambiato idea. Chiederò di essere cremato, e quella casetta sarà occupata dalla sorella. 
La foto sorridente di Angela mi conferma ogni volta che è la scelta giusta.

In questi anni tante persone sono sparite in un batter d'occhio: penso a mio cognato, penso alla mia unica sorella, quella raccontata nel post precedente questo, penso a tanti amici, colleghi di lavoro nel periodo lavorativo... Penso anche ai tanti amici di blog passati all'altra vita, a Carla Krilù, a Tomaso, a Lorenzo, ad Aldo il Monticiano, ai tanti di cui non ho più notizia, persi durante un cammino che diventa sempre più solitario. E impervio...

Sto gattonando (bene oserei dire, visti i precedenti) verso l'84° traguardo, e se guardo la strada fatta, le scelte fatte... beh, sono moderatamente soddisfatto. Il domani è un altro giorno, in sé non mi spaventa, non ho debiti e se risulta che ho qualche credito riscuoterlo non mi interessa più. 

Buon anno a tutti, e che buon anno sia, nonostante tutto.

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