Il rientro dalla colonia era stato come un 'fine ricreazione'.
Il nuovo anno scolastico, il primo della serie allora obbligatoria, sarebbe stato come un originale, cui sarebbero seguite le copie quasi identiche degli anni a seguire.
Intanto la conoscenza delle maestre.
Erano tre suore, una per ogni classe.
In terza c'era suor Beatrice.
Una suora 'sui generis', come più avanti Pepè avrebbe imparato a definire qualcuno o qualcosa fuori dall'ordinario.
Era fuori dall'ordinario delle suore conosciute fino ad allora.
Era piuttosto giovane, un viso con le gote che sembravano due mele, quelle rosse e gialle; gli occhi, anche nei momenti di severità, ridevano sempre.
Era sempre allegra, sprizzava e trasmetteva questa sua allegria.
Prima di essere richiamata alla casa madre, era stata in un paese lontano, in cui, vista la sua spigliatezza, sicuramente aveva lasciato un buon ricordo e rimpianti.
Ogni tanto faceva vedere ai suoi ragazzi delle fotografie; una, in particolare, era rimasta impressa nella mente di Pepè: suor Beatrice alla guida di un motorino, tonaca al vento, sorridente di quel tipo di sorriso che indica felicità, piacere di vivere.
La quarta era di suor Crocifissa.
Delle tre insegnanti era la più anziana.
Aveva il pallino dei serpenti. In soffitta ne aveva una raccolta dei più svariati.
Erano dentro dei contenitori di vetro, immersi, forse, nell'alcol.
Ogni tanto portava un boccaccio in aula e se lo metteva davanti sul piano della cattedra.
Dopo le prime paure, quelle che impedivano perfino di toccare il vetro, si erano abituati a quelle strane presenze; piano piano, mandando qualche coraggioso in avanscoperta, erano arrivati all'osservazione ravvicinata.
Per 'ravvicinata' era inteso un buon metro di distanza; la prudenza aveva comunque il sopravvento.
La quinta era di suor Maria Pia.
Piccoletta, rubiconda e con modi da signora.
Dai passaparola con i compagni, Pepè aveva saputo che si trattava di una nobildonna, che con la vocazione aveva lasciato il 'mondo' per mettersi al servizio dei poveri.
Forse era una leggenda, tramandata di anno in anno nel passaggio delle consegne a chi seguiva.
A far credere che non fosse solo leggenda, questa suora aveva un dente in oro giallo e la montatura degli occhiali pure in oro.
Almeno, il colore era oro.
Dell'insegnamento vero e proprio, Pepè non ricordava molto; anzi proprio nulla.
Era stato sempre promosso, ma dovesse dire con quali voti, non lo saprebbe.
Ricordava, però, che le sue 'bestie nere' erano la matematica e il disegno.
Per la matematica era in ottima compagnia; per il disegno superava tutti.
In negativo.
Non era tanto il disegnare che appariva difficile, quanto il salvare i fogli da ditate, cancellature su cancellature, che alla fine riducevano i fogli a carta poco meno che straccia.
Fuori dall'aula, aveva fatto conoscenza con l'educazione fisica.
La seguiva il prefetto in persona.
Consisteva nell'arrampicata su delle pertiche, infisse nel pavimento e fissate in alto in anelli appositi; poi gli assi d'equilibrio e ginnastica.
Pepè non aveva mai avuto a che fare con questa materia; visti i suoi precedenti era improbabile che potesse conoscerla.
Una delle voci della ginnastica che gli aveva creato problemi era stato il coordinamento nella marcia; intanto la cadenza delle braccia in corrispondenza con i movimenti delle gambe, poi il rispetto dei comandi di 'passo' e 'cadenza'.
Agli inizi disastrosi aveva fatto seguito l'affidamento a un ragazzo più grande, per una specie di svezzamento sulla materia.
Durante la ginnastica indossavano tutti delle magliette bianche, che sul petto e sulla schiena avevano una sigla, allora incomprensibile: ONB.
Non avevano neanche tentato di decifrarla, anche perché non rientrava nei loro interessi.
Molti anni dopo, Pepè avrebbe scoperto che, per esteso, quella sigla diceva: Opera Nazionale Balilla.
La guerra, di cui aveva sentito vagamente parlare, era finita da qualche anno; quelle magliette dovevano essere avanzi di quel tempo, ma sarebbe stato un peccato gettarle.
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