La primissima parte della nuova esistenza, per un breve periodo, era stata dedicata alla conoscenza dell'ambiente, quello fisico.
Subito dopo, o meglio in contemporanea, si era dovuto abituare a nuovi ritmi, a un modo di vivere totalmente diverso da quello precedente.
Uno dei primi ostacoli lo aveva trovato nel capirsi con gli altri compagni d'avventura. O di sventura.
L'italiano imparato al paese non era sufficiente a capire e farsi capire. Questa situazione, peraltro, era comune un po' a tutti: era una piccola Babele, una macedonia di dialetti che ciascuno portava in dote dai paesi di provenienza.
Che erano molti, e geograficamente sconosciuti l'uno all'altro.
Le giornate, in quel periodo di prima estate, erano scandite da tempi precisi.
Intanto, la messa. Tutti i giorni. In chiesa grande.
Più avanti nel racconto Pepè spiegherà il motivo dell'aggettivo "grande" a questa chiesa.
Che, in effetti, grande lo era veramente. In quel primo approccio, la curiosità aveva avuto il sopravvento sul sonno, che, finito il tempo delle scoperte, avrebbe poi accompagnato le sue visitazioni matutine.
Per adesso si guardava intorno, confrontava con la chiesa del suo paese, che fino ad allora era l'unica che conosceva.
Più o meno: a parte l'acquasantiera che lo aveva dissetato, ricordava vagamente la sacrestia, con armadi altissimi (in realtà non lo erano, ma la sua minuzia glieli facevano ricordare così), i banchi, la navata centrale. Quando si riempiva, la domenica e le feste comandate, era un miscuglio di persone, vestite ciascuna secondo le proprie possibilità, sparse secondo le conoscenze, perchè la messa era l'occasione per scambiarsi informazioni, commentare i fatti della settimana.
Per le donne, soprattutto di concludere pettegolezzi, talvolta iniziati al mercato della settimana precedente.
Le preghiere venivano espresse in un coro cacofonico, nel senso che ciascuno era libero di interpretarle a modo suo.
Dei canti liturgici, sempre al paese, non ricordava molto; ma se seguivano la libera interpretazione delle preghiere, è facile pensare al padreterno con i tappi alle orecchie.
In questa nuova chiesa, tutto era ordinato, i posti assegnati per le varie zone restavano invariati, non c'era la possibilità di sconfinamenti da un settore all'altro.
Questi settori erano principalmente tre.
Guardando l'altare maggiore, nel corridoio a destra c'erano i banchi per gli uomini. Anche i bambini rientravano in questa categoria, ed avevano il loro preciso angolo di preghiera.
La navata centrale, molto ampia, era il regno delle suore. Queste si dividevano in varie formazioni, con abiti che differivano l'una dalle altre. E ciascun gruppo aveva il suo spazio, inamovibile.
Il corridoio di sinistra era dedicato alle donne laiche. Anche qui, come i mini maschi, le bambine erano considerate donne.
Le preghiere, quelle senza musica, avevano una uniformità e una precisione nell'inizio e nella fine, che lasciavano sbalorditi.
E nessuno a dare segnali di "vai" o "stop": la ripetizione continua, evidentemente, aveva automatizzato il mormorio delle orazioni. E in seguito, la monotonia avrebbe conciliato il sonno, già bagaglio pesante di ogni mattina.
Le domeniche, e le solite feste comandate, le messe diventavano due; quella matutina e quella cantata, la messa solenne, che era un tripudio di canti e cori polifonici, ovviamente interpretati dai vari settori delle suore.
C'era, in queste funzioni, una vivacità e una coralità che non consentivano i sonnellini del mattino. E, comunque, alle dieci del mattino, dopo qualche corsa nel cortile, ormai anche il sonno era svanito.
Al rientro dalla messa, nel refettorio prima descritto, c'era la colazione.
Le scodelle erano di metallo, un po' perché il dopoguerra qui non era ancora iniziato, un po' per evitare cocci, probabili vista la vivacità in dote a quell'età.
Il latte era scarso, ed era destinato ai ragazzi più delicati, come salute e come conformazione fisica.
Pepè, nonostante il nanismo tipico dell'isola di provenienza, non rientrava tra i beneficiari di questo alimento.
La colazione consisteva in una tazza di brodo vegetale; la parte superiore della scodella era occupata dal brodo liquido, nel fondo era adagiata una poltiglia di patate e altre verdure, macinate per creare il brodo, appunto vegetale.
Nei suoi ricordi, questa poltiglia restava sul fondo della scodella. Proprio non andava giù, al di là del fatto che fosse a colazione.
(Più avanti con gli anni si sarebbe reso conto che, del brodo, quella poltiglia era la parte migliore; ma per lungo tempo lui, e i compagni di questo tipo di colazione, l'avevano considerata una schifezza. Ma quello passava il convento, e non c'erano alternative).
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